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Serenata che passione! Una tradizione che resiste ancora, malgrado il mondo sia dominato dalla tecnologia

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Sembra stridere con il mondo di oggi, apparentemente sempre più dominato dalla tecnologia avanzata, la tradizione della serenata prematrimoniale. Eppure resiste. Più degli addii al celibato e al nubilato. E sembra perfino strano che a fare ricorso alla serenata siano innamorati anche piuttosto giovani, serenamente ostaggi di Whatsapp, inevitabilmente dominati da Facebook, costantemente ammaliati dagli esasperati ritmi della musica underground o, in qualche modo, ancora attratti da qualche antico retaggio psichedelico. Ma tant’è. O di riffa, o di raffa, la serenata deve esserci. Talvolta indipendentemente dalla stessa volontà dei futuri sposi. Ormai non ci rinuncia più nessuno. O quasi. È uno degli ultimissimi baluardi dei legami con i tempi che furono. E dire che perfino Lorenzo Jovanotti venticinque anni fa tentò più o meno di modernizzare l’usanza con un brano che, pur diventato un evergreen del suo repertorio, non ha mai cambiato le abitudini dominanti.

La serenata de noàntri dovrebbe essere un momento organizzato a insaputa dell’amata. Talvolta lo è perfino dell’amato. Sì, perché la serenata va fatta. Volete che manchi l’amico o il cugino che organizza il tutto, indifferente al gradimento dei legittimi protagonisti dell’evento? “Ma insaputa de che”, direbbero a Roma. Figuriamoci. Alla fine dalle nostre parti anche questo diventa solo uno dei tanti segreti di Pulcinella attorno al quale ruotano sorrisetti di circostanza, mezze frasi sussurrate e sguardi d’intesa maliziosi che, naturalmente, la vittima predestinata, a meno che non sia Miss distrazione, non può che cogliere puntualmente. Tanto più che da noi la serenata si trasforma anche in un momento conviviale nel quale, a canzone finita, si mangia e si balla in mezzo alla strada.

Forte di questo fenomeno in continua crescita, c’è chi ha fatto diventare la serenata un lavoro a tutti gli effetti. Perché non sempre il futuro sposo possiede l’intonazione giusta, l’orecchio musicale adatto o anche solo la faccia di bronzo per eseguire “Nicuzza”, il capolavoro di Franco Finistrella magistralmente rilanciato da Lello Analfino e da suoi Tinturia. E, d’altronde, sono da considerarsi preistoria anche i tempi in cui Peppino Califano va a cantare sotto casa di Agnese Ascalone, nella celebre scena della serenata organizzata come preludio del matrimonio riparatore di “Sedotta e abbandonata”.

E allora oggigiorno la serenata la si commissiona a gruppi locali i quali, armati di chitarre, mandolino e fisarmonica, abbigliati con costumi d’epoca che si contrappongono allo squillo del cellulare che, puntualmente, disturba l’esecuzione, prestano il loro talento per la causa romantica. Facendolo tra gli applausi dei vicini di casa della fortunata alla finestra e i cori degli astanti, soprattutto sui brani dai contenuti un po’ più piccanti.

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