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Ignazio Cutro’ resta senza scorta: “La mia famiglia non corre pericolo? Fatevi un giro a Bivona”

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Aveva presentato ricorso  al Tar Lazio contro la revoca, da parte della Commissione Centrale, delle speciali misure di protezione adottate nei suoi confronti e della sua famiglia, il Tribunale Amministrativo ha rigettato l’istanza di Ignazio Cutro’, testimone chiave nel processo che ha portato all’arresto di alcuni esponenti di spicco delle famiglie mafiose della bassa quisquina. La storia del bivonese che ha scelto di denunciare facendo arrestare i suoi estorsori, ha fatto di Cutrò un simbolo dell’antimafia che lo ha portato più volte a lottare per avere riconosciuti i suoi diritti di testimone di giustizia. Cutrò da qualche anno presiede l’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia.

“Continuerò a testimoniare gli ideali di giustizia – ribadisce oggi Cutrò in un comunicato stampa  e proseguirò il mio impegno contro le mafie ed a sostegno dei testimoni di giustizia nonostante lo Stato oggi abbia unilateralmente voltato le spalle a me, mia moglie ed i miei figli. Le ragioni della mancata proroga delle speciali misure di protezione non stanno nel venir meno del rischio pericolo di vita ne tantomeno a causa delle mie proteste. Nulla di tutto ciò! Io sono ritenuto colpevole di avere dato voce a chi, con coraggio civile, aveva affidato la propria stessa vita allo Stato ed in cambio aveva ricevuto da esso solo sofferenza e isolamento. Alquanto ridicola poi la affermazione che la famiglia Cutrò non è esposta ad alcun concreto pericolo di vita. Forse una passeggiata per Bivona aiuterebbe la Commissione Centrale a schiarirsi meglio le idee. Sulla mia persona e sulla mia famiglia viene riversato aspro rancore per non essere scesa a più ” miti consigli” da parte di chi nelle Istituzioni mi chiedeva di farmi da parte o nella migliore delle ipotesi di farmi i fatti miei. Ora la mia vita, la mia stessa vita e quella di mia moglie Giuseppina e dei miei due amati figli, Giuseppe e Veronica, sono nelle vostre mani e in quelle di chi nelle Istituzioni credono che lo Stato debba fare la sua parte, nella lotta contro le mafie, fino in fondo senza se e senza ma”.

“Io –  conclude Ignazio Cutrò –  ho fatto tutto il possibile: non ho ceduto alle estorsioni, ho testimoniato nei processi, sono stato promotore con la mia Associazione di ben tre leggi sui testimoni di giustizia e di altrettante inchieste sui testimoni da parte della Commissione Parlamentare Antimafia. Oggi alzo le mani, non in segno di resa, ma per chiedere a ciascuno di voi di alzare alta la vostra indignazione. Quello che ho fatto lo rifarei altre mille volte”.

All’appello e alle rivendicazioni di Cutro’ si unisce oggi anche la Cgil, l’organizzazione sindacale che tramite il suo segretario Massimo Raso scrive: “Come organizzazione sindacale abbiamo espresso, in varie occasioni, sincera ammirazione per l’attività svolta da Ignazio Cutrò e che hanno consentito dapprima la condanna dei suoi estorsori ed il contributo dallo stesso dato per far crescere una coscienza antimafiosa ed invogliare altri Imprenditori a seguire il suo esempio.
Così come abbiamo espresso la nostra vicinanza quando lo Stato o il Sistema bancario, incurante del contributo dato e della particolare situazione del Cutrò, è venuto meno – a nostro giudizio – ai suoi doveri.
Adesso quest’altra brutta notizia che non comprendiamo e che sicuramente lancia un segnale negativo alla società.
Nell’esprimere a Lui, alla moglie Giuseppina e ai suoi figli, Giuseppe e Veronica, la nostra vicinanza, chiediamo alle Autorità di P.S., a quanti hanno la responsabilità della sicurezza in questo Paese, di riconsiderare tali scelte e di assicurare protezione e sicurezza a Lui e a quanti hanno coraggiosamente scelto di stare “dalla parte dello Stato” e contro la mafia”.

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