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Malattie professionali, quando il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile: cosa dice la Cassazione

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Una nuova sentenza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri per il risarcimento in caso di malattia professionale. Ecco quando il datore di lavoro è tenuto a risarcire e cosa deve dimostrare il lavoratore.

Le malattie professionali rappresentano un tema centrale nel diritto del lavoro, in particolare per quanto riguarda le responsabilità del datore di lavoro in materia di tutela della salute e sicurezza. Ai sensi dell’art. 2087 del Codice Civile, il datore è obbligato a prevenire ogni rischio per l’integrità fisica e morale dei dipendenti, applicando tutte le misure che la tecnica e l’esperienza suggeriscono come adeguate.

Malattia professionale o infortunio? Le differenze

A differenza dell’infortunio sul lavoro – che è un evento traumatico e improvviso – la malattia professionale insorge gradualmente, a seguito dell’esposizione prolungata a fattori nocivi presenti nell’ambiente lavorativo, come sostanze tossiche, rumore, posture scorrette o movimenti ripetitivi.

Proprio per la natura progressiva della patologia, il nesso causale tra lavoro e malattia è spesso più difficile da dimostrare rispetto agli infortuni. Ed è su questo punto che interviene l’ordinanza n. 4166/2025 della Cassazione.

La responsabilità non è automatica: serve la prova del nesso

Secondo la Corte, la responsabilità del datore di lavoro non è oggettiva. In altre parole, non basta che il lavoratore abbia contratto una malattia per ottenere il risarcimento: è necessario dimostrare un legame diretto tra l’attività lavorativa e l’insorgere della patologia, oltre alla mancanza di adeguate misure di prevenzione da parte dell’azienda.

Nel caso esaminato, una dipendente comunale aveva chiesto il risarcimento per una patologia lombare che riteneva legata al proprio impiego in un asilo nido. Tuttavia, i giudici hanno sottolineato che prima del 2007 non vi era ancora una piena consapevolezza scientifica sui rischi connessi a quelle specifiche mansioni. Inoltre, il Comune aveva adottato, successivamente, misure ergonomiche e attivato la sorveglianza sanitaria, dimostrando così di aver rispettato gli obblighi previsti dalla legge.

Cosa deve dimostrare il lavoratore

Per ottenere un risarcimento, il lavoratore deve quindi provare:

  • l’esistenza della malattia;
  • la riconducibilità al contesto lavorativo;
  • la mancata adozione, da parte del datore, di misure di prevenzione adeguate in base alle conoscenze scientifiche disponibili al tempo.

Il giudice, nel valutare la responsabilità, deve considerare il rischio specifico dell’attività svolta e la proporzionalità delle misure di sicurezza adottate.

Le implicazioni della sentenza

La pronuncia della Cassazione rappresenta un importante punto di riferimento per i contenziosi futuri: il datore di lavoro non è automaticamente responsabile per ogni malattia professionale. L’onere della prova ricade sul lavoratore, che dovrà fornire elementi concreti in grado di dimostrare la connessione causale e l’inadeguatezza delle misure preventive.


Giacomo Cascio
Giacomo Cascio
CEO Blue Owl s.r.l. agency - Editore Risoluto.it

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