Canicattì, cala il sipario sul Festival della Legalità (Video)

È calato il sipario sul Festival della Legalità che si è tenuto a Canicattì, un evento che ha visto una grande partecipazione di pubblico.

“Siamo felicissimi della risposta della gente – ha dichiarato il direttore artistico del Festival, Simone Luglio – in tanti hanno provato ad entrare al centro culturale San Domenico nonostante l’overbooking. Grande, grandissimo, il successo ottenuto dal Festival della Legalità. E’ stata un’esperienza faticosissima perché le cose belle costano fatica, ma siamo felicissimi del risultato raggiunto e del feedback ottenuto dagli spettatori”.

Un bilancio assolutamente positivo anche per il sindaco di Canicattì, Ettore Di Ventura che ha dichiarato:

“Sono stati 5 giorni intensi, con incontri, workshop, concerti e spettacoli che hanno ravvivato la ‘Settimana della legalità’ a Canicattì. Portiamo con noi un bel ricordo, un grande successo di pubblico e ci auguriamo che tutto ciò possa ripetersi il prossimo anno”.

Durante il festival, al quale hanno partecipato numerosi studenti che hanno potutoo ammirare la macchina del giudice Rosario Livatino esposta per l’occasione, si è cercato di trasmettere la voglia del ‘giusto’ e del riscatto di una terra e di un popolo che, negli ultimi decenni, ha dimostrato di volersi opporre a Cosa Nostra.

A testimoniare che si può sempre scegliere, nonostante si cresca “in mezzo a cose terribili”, è stato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Gaetano Paci che ha dialogato con gli alunni della scuola media “Giovanni Verga” di Canicattì e con il giornalista Alan Scifo.

“Io sono cresciuto assieme a ragazzi di questa città che poi hanno preso strade diametralmente opposte alle mie, alle scuole elementari ero compagno di banco di un ragazzo che poi entrò nella Stiddra e fu ucciso – ha raccontato Paci che, come Livatino, è di Canicattì – . Il fratello del mio compagno di banco è stato uno dei componenti del commando che il 25 settembre del 1988 andò a sparare a Nino Saetta e al figlio. Ma giocavo anche a pallone con uno di coloro che composero il commando che andarono ad uccidere proprio Rosario Livatino. Chi mai poteva immaginare che ragazzi di 13, 14 anni potessero prendere strade così drammaticamente, terribilmente, diverse? Questo è però accaduto a Canicattì – ha sottolineato – dove questo retroterra così tanto difficile da vivere ha, in qualche modo, forgiato non solo la mia personalità, ma anche di tanti altri che in altre professioni, in altri ruoli, partendo da Canicattì, hanno saputo farsi avanti”.

Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha, naturalmente, trattato anche il tema cardine dell’incontro: “Che fine ha fatto la magistratura”:

“Ci si può imbattere nel magistrato serio, scrupoloso, che oltre ad essere preparato guarda anche al caso umano e si pone l’obiettivo di tutelare quella persona, riconoscendogli i propri diritti o, se dal caso, sanzionandolo. Ma ci si può trovare di fronte a chi utilizza il proprio lavoro per fini di carriera esclusivamente personale. Dentro l’istituzione magistratura ci sono tante diversificazioni: la magistratura di Borsellino non è la magistratura di Pizzillo che, presidente della Corte di appello di Palermo, si chiamava in stanza Rocco Chinnici per dirgli che Giovanni Falcone non doveva fare le indagini bancarie sui Salvo perché non bisognava disturbare i potenti di turno. Falcone doveva occuparsi, ve lo ripeto testualmente, ‘di puttane e di assegni a vuoto’. Chi ha cercato di utilizzare il potere che la legge e la Costituzione gli assegna per servire un potentato economico, politico o anche mafioso, anche all’interno della magistratura purtroppo c’è sempre stato. Ma abbiamo anche gli ‘anticorpi’ per neutralizzare questo tipo di persone e situazioni che finiscono sempre per essere emarginati”.

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