Cronaca / Attualità

Femmicidio di Bronte, ergastolo confermato dalla Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di Filippo Asero, rendendo definitiva la condanna all’ergastolo confermato per l’omicidio dell’ex moglie Ada Rotini, uccisa l’8 settembre 2021 in pieno giorno a Bronte. Una violenza efferata: più di quaranta coltellate inferte in mezzo alla strada, davanti ai passanti, prima che un carabiniere fuori servizio riuscisse a intervenire e bloccare l’uomo.

La sentenza della Corte d’assise d’appello di Catania era stata già confermata nei gradi precedenti, e ora diventa irrevocabile, chiudendo un percorso giudiziario che non ha lasciato spazi a dubbi sulla responsabilità dell’imputato.

Il quadro probatorio e l’assenza di attenuanti

Per l’avvocato Giuseppe Cultrera, legale della famiglia Rotini, la pronuncia della Suprema Corte rappresenta «una sentenza giusta in tutti i gradi di giudizio». Non un trionfo, sottolinea il penalista, ma il riconoscimento necessario della gravità dei fatti:

«L’omicidio non aveva alcuna scusante, né attenuante. Dalle risultanze processuali è emerso un unico intento: massacrare e uccidere la moglie».

Il comportamento di Asero, anche nei mesi e anni precedenti, rientra in un disegno persecutorio che la vittima aveva più volte denunciato. Una sequenza di atti che ha pesato nel giudizio e che evidenzia – come sottolinea Cultrera – quanto mancasse un intervento tempestivo dello Stato.

Il monito: denunciare e prevenire

La vicenda giudiziaria, seppure conclusa con l’ergastolo confermato, lascia aperta una riflessione più ampia sulla prevenzione della violenza domestica. «Ada aveva denunciato – ricorda l’avvocato – ma continuava a vivere, probabilmente impaurita, nell’inerzia delle istituzioni». Una dinamica purtroppo frequente, che spesso priva le vittime di reali strumenti di protezione

.Secondo Cultrera, quanto accaduto deve essere un monito: denunciare resta fondamentale, ma le istituzioni devono essere presenti, con empatia, ascolto e interventi concreti. La prevenzione – psicologica, sociale e giudiziaria – può salvare vite, a patto che sia accompagnata da un reale sostegno alle donne che decidono di chiedere aiuto.

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