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Il requisito della residenza in Italia per il reddito di cittadinanza, un caso al Tribunale di Sciacca

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Florentina Neagu, cittadina rumena residente a Ribera, era stata condannata in primo grado dal Tribunale di Sciacca a un anno e quattro mesi di reclusione (pena sospesa) per aver, secondo l’accusa, rilasciato dichiarazioni false al fine di ottenere il reddito di cittadinanza. Il fatto contestato risaliva al 2020, quando, nel presentare domanda per l’accesso al beneficio, la signora Neagu aveva dichiarato di essere residente in Italia da almeno dieci anni, come richiesto dalla normativa all’epoca vigente. Tuttavia, secondo la documentazione acquisita, la sua residenza anagrafica risultava formalmente iniziata nell’agosto 2012. Adesso tutto viene rimesso in discussione anche alla luce di una sentenza della Corte Costituzionale.

Contro quella condanna, è stato proposto appello dall’avvocato Pinuccia Amato, che ha evidenziato vizi procedurali e sostanziali della sentenza. Il cuore della contestazione è fondato sull’assenza dell’elemento soggettivo del dolo: secondo la ricostruzione difensiva, la signora Neagu avrebbe agito in buona fede, confondendo — come spesso accade a chi proviene da contesti culturali diversi — il concetto tecnico di “residenza anagrafica” con quello, più comune, di “presenza stabile” in Italia. Tale presenza, peraltro, sarebbe iniziata già nel 2010, come emerso in fase dibattimentale.

A complicare e ribaltare l’intero impianto accusatorio è intervenuta, nel frattempo, la sentenza della Corte Costituzionale 31/2025, che ha dichiarato illegittimo il requisito dei dieci anni di residenza richiesto per accedere al reddito di cittadinanza, riducendolo a cinque. La signora Neagu, già residente da oltre otto anni alla data della domanda, era dunque pienamente in regola con il nuovo requisito, che la Consulta ha ritenuto più conforme ai principi di eguaglianza e ragionevolezza.

Sulla base di questo nuovo quadro giuridico, anche il procedimento dinanzi alla Corte dei Conti della Regione Siciliana, aperto per presunto danno erariale da oltre 13 mila euro, si è concluso con una rinuncia all’azione da parte del pubblico ministero contabile. In udienza, tenutasi l’11 giugno 2025, la Procura ha riconosciuto che la signora Neagu era legittimamente in possesso del requisito di residenza quinquennale al momento della richiesta del beneficio.

Di conseguenza, la Corte, con sentenza 212/2025, depositata il 18 luglio, ha dichiarato estinto il giudizio, senza alcuna pronuncia di condanna né sul merito né sulle spese.

Il caso Neagu mette in evidenza quanto possa essere sottile il confine tra un errore formale e un’accusa penale, specie in contesti burocraticamente complessi e socialmente delicati. Ma mette anche in luce l’importanza dell’aggiornamento giurisprudenziale e legislativo, nonché della tutela dei diritti costituzionali, in particolare per soggetti vulnerabili.

«Questa vicenda – afferma l’avvocato Pinuccia Amato – dimostra quanto sia fondamentale garantire il diritto alla difesa e rispettare i principi costituzionali in ogni fase del processo. La signora Neagu ha sempre agito in buona fede, interpretando in modo ingenuo ma comprensibile il concetto di residenza. Il suo caso rappresenta uno degli effetti distorti di una normativa che è stata, giustamente, dichiarata incostituzionale.

Oggi, con la decisione della Corte dei Conti che ha estinto il procedimento e con l’appello in corso per il processo penale, ci auguriamo venga finalmente restituita piena dignità a una cittadina che, in un momento di fragilità economica, ha solo cercato legittimamente di accedere a un aiuto pubblico.

Questa vicenda richiama l’urgenza di costruire un sistema di welfare e giustizia più attento alla realtà concreta delle persone, soprattutto quando si tratta di cittadini stranieri – conclude l’avvocato Amato – che spesso si trovano soli di fronte a norme complesse e formalismi burocratici. La tutela dei diritti passa anche attraverso il riconoscimento degli errori di sistema, e non solo delle responsabilità individuali».

Nella foto, l’avvocato Pinuccia Amato

Giuseppe Pantano
Giuseppe Pantano
Giornalista Professionista

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