Agrigento

Targa in memoria di Aldo Tandoj, il commissario che indagava sul delitto di Accursio Miraglia

Chi ha un ricordo del Viale del tempo dice che oggi la strada più signorile di Agrigento, è rimasta tale e quale a quando il commissario Aldo Tandoj fu freddato mentre rientrava nella sua casa di Viale Della Vittoria con la bella moglie sottobraccio. Rimase ammazzato per terra anche lo studente liceale Ninni Damante che passava di lì per caso.

Solo qualche tonnellata di cemento in più oggi in quel Viale. Era il 30 marzo del 1960 allora, Agrigento non era ancora il simbolo dell’abusivismo quando si consumò in pieno centro uno dei delitti più controversi che ispirò libri come ” A ciascuno il suo” di Leonardo Sciascia.

Delitto passionale si disse immediatamente e d’altronde le pedine di un triangolo amoroso c’erano tutti: la moglie Leila Motta, figlia del vicequestore di Raffadali, di notevole bellezza, il marito Tandoj più anziano e il potente amante, il professor Mario La Loggia, psichiatra, fratello dell’ex presidente della Regione siciliana, rampollo della famiglia democristiana più in vista della città. I due “amanti diabolici”, vengono arrestati come mandanti dell’omicidio del commissario quella stessa estate mentre ci si appassionava alle cronache di nera a base di sesso, droga e politica con la quale a primo acchito venne associato il movente del delitto del commissario barese. Esecutori, due mezzadri al soldo della famiglia La Loggia. Solo dopo sette mesi, i due amanti verranno prosciolti e la pista sull’omicidio del primo commissario di Polizia ucciso in Sicilia, prenderà una svolta diversa. La mano mafiosa, quando ancora la mafia non era ancora a livello concettuale la mafia, la più grande associazione a delinquere.

Tandoj cadde dopo il sindacalista saccense Accursio Miraglia, del quale aveva avviato le indagini sull’omicidio, dopo il sindaco di Favara, il vicesindaco di Licata e una scia di sangue che aveva iniziato a grondare per la provincia agrigentina. Morto perché sapeva, morto perché Tandoj scriveva, aveva iniziato a collaborare con “L’Ora” di Palermo, testata che di giornalisti ammazzati ne conoscerà altri.

La firma mafiosa l’accerterà la giustizia soltanto otto anni dopo il delitto, processo trasferito a Lecce per le pressioni e infiltrazioni. Morto ammazzato perché una volta trasferito a Roma, Tandoj che vantava un’amicizia importante come ex compagno di scuola di Aldo Moro, un altro che finirà la sua vita da rapito e cadavere in auto, si temeva che potesse spifferare i segreti di quella mafia ancora grande sconosciuta che iniziava ad innestarsi con le “stanze dei bottoni”.
Oggi al Viale della Vittoria, nei pressi del luogo dell’agguato, trentasette anni dopo, il sindaco Lillo Firetto ha voluto scoprire una lapide alla loro memoria: “Uccisi – recita adesso la stele – per mano mafiosa”.

(Foto Lorenzo Rosso)

 

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