Una recente ordinanza della Corte di Cassazione riafferma un principio fondamentale in materia di assegno divorzile: per ottenere il contributo economico non basta la semplice disoccupazione, ma occorre dimostrare una reale e oggettiva impossibilità a procurarsi un reddito adeguato. La decisione, contenuta nell’ordinanza n. 10035 del 16 aprile 2025 della sezione prima civile, stabilisce un precedente significativo per casi analoghi.
I requisiti per ottenere l’assegno di divorzio
L’assegno divorzile ha natura assistenziale e viene riconosciuto solo quando uno degli ex coniugi si trova in uno stato di bisogno non dipendente da propria negligenza. Secondo la Cassazione, infatti, il diritto a ricevere l’assegno non è automatico: il giudice valuta l’effettiva incapacità economica e la responsabilità individuale nel non aver cercato mezzi di sostentamento.
Non è sufficiente dimostrare di essere iscritti al centro per l’impiego o di aver inviato qualche candidatura. La giurisprudenza richiede una prova rigorosa dell’attività svolta nella ricerca di un’occupazione: invii di curriculum, partecipazione a bandi pubblici, colloqui sostenuti e tentativi concreti di reinserimento nel mondo del lavoro.
L’età e le condizioni personali come fattori determinanti
Secondo la Suprema Corte, l’incapacità di mantenersi da soli è considerata incolpevole solo in presenza di specifiche circostanze, come:
- età superiore ai 50 anni, che può ostacolare il reinserimento lavorativo;
- presenza di gravi patologie invalidanti o altre disabilità che limitano la capacità lavorativa;
- assenza di titoli di studio o qualifiche professionali, unita a condizioni territoriali svantaggiate dal punto di vista occupazionale.
Al contrario, in presenza di buona salute, giovane età, titolo di studio universitario e competenze professionali, è richiesto all’ex coniuge di attivarsi concretamente per ottenere un reddito proprio.
Il caso concreto: respinta la richiesta di assegno
Nel caso esaminato dalla Cassazione, una donna quarantenne, madre di due figli e in possesso di una laurea, aveva chiesto l’assegno divorzile dopo la fine di un matrimonio durato cinque anni. Nonostante non presentasse impedimenti fisici o professionali all’inserimento lavorativo, la donna non aveva cercato attivamente lavoro e aveva rifiutato alcune proposte, giudicandole non adeguate.
La Corte ha ritenuto tale condotta attendista e deresponsabilizzante, sottolineando che l’assegno non può diventare uno strumento compensativo della fine del matrimonio in assenza di reali condizioni di bisogno non imputabili all’ex coniuge.
Il principio della solidarietà post-coniugale
La Cassazione richiama infine il principio di autodeterminazione, chiarendo che la solidarietà economica post-divorzio deve basarsi su elementi oggettivi e non può sostituire l’impegno individuale a ricostruire la propria autonomia economica. La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale volto a valorizzare le capacità lavorative e a responsabilizzare le parti nella fase successiva alla separazione.