Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 37354/2025) segna una svolta profonda nel diritto di famiglia, chiarendo definitivamente un punto che da anni alimentava conflitti tra genitori separati:
👉 l’assegno di mantenimento non è “denaro del figlio”, ma entra nella piena disponibilità del genitore affidatario.
Il principio affermato dalla Suprema Corte ribalta una convinzione molto diffusa, secondo cui il genitore convivente sarebbe solo un custode dei soldi destinati al minore e obbligato a giustificare ogni spesa.
Secondo la Cassazione, le somme versate a titolo di assegno di mantenimento:
Non si tratta quindi di un patrimonio intestato al figlio, come può esserlo un’eredità o un risarcimento, ma di un contributo forfettario volto a sostenere le spese quotidiane: vitto, alloggio, utenze, istruzione, cure e gestione della casa.
La sentenza nasce da un caso emblematico.
Una madre era stata condannata in primo e secondo grado per malversazione, ai sensi dell’art. 570, comma 2, n. 1 del Codice penale, con l’accusa di non aver speso integralmente l’assegno di mantenimento per il figlio.
Il ragionamento dei giudici di merito era puramente contabile:
se il padre versava una certa somma e la madre non ne spendeva l’intero importo direttamente per il bambino, il residuo veniva considerato indebitamente trattenuto.
La Cassazione ha annullato la condanna, smontando alla base questa impostazione.
Il reato di malversazione presuppone che il bene:
Questo accade, ad esempio, quando un figlio riceve un’eredità o un risarcimento e il genitore utilizza quei fondi per fini personali.
Nel caso dell’assegno di mantenimento ordinario, invece:
Di conseguenza, non esiste alcun obbligo di rendiconto analitico delle spese sostenute.
Uno degli effetti più rilevanti della sentenza è lo stop definitivo alla pretesa di:
La Cassazione chiarisce che il genitore affidatario ha piena discrezionalità nella gestione del denaro, purché i bisogni del figlio siano soddisfatti.
Se parte dell’assegno viene usata per:
non si configura alcun illecito.
La sentenza non autorizza l’abbandono o la trascuratezza.
Il discrimine non è più come vengono spesi i soldi, ma come vive il bambino.
Se il genitore:
non risponderà di malversazione, ma potrà essere perseguito per violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570, comma 1, c.p.).
Il giudice dovrà valutare:
Sul piano civilistico, una gestione palesemente inadeguata delle risorse può comunque avere conseguenze:
Ma si tratta di valutazioni legate alla tutela del minore, non alla contabilità dell’assegno.
La decisione della Cassazione tiene conto di una realtà concreta:
nelle famiglie il denaro è un bene fungibile e non è possibile separare matematicamente le spese del figlio da quelle del genitore.
Riconoscere la titolarità dell’assegno al genitore affidatario: