Una nuova sentenza del Consiglio di Stato (n. 7107/2025) ha chiarito una questione cruciale che riguarda migliaia di candidati in tutta Italia: un concorso pubblico concluso in ritardo non è automaticamente nullo. Il verdetto stabilisce che il termine previsto dal bando non è perentorio, ma ordinatorio, cioè serve a velocizzare l’iter senza compromettere la validità dell’intera procedura.
Questa precisazione cambia radicalmente il modo in cui vengono gestiti i ritardi nei concorsi pubblici, soprattutto in contesti dove i tempi si dilatano anche per anni, generando incertezza nei partecipanti.
Se è vero che il ritardo non annulla la procedura, è altrettanto vero che può generare responsabilità dirigenziali e richieste di risarcimento da parte dei candidati. Non basta però una semplice lamentela: chi si ritiene danneggiato deve dimostrare in modo concreto che il ritardo ha compromesso le sue possibilità di successo o ha violato i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione.
Un altro punto importante della sentenza riguarda l’attività amministrativa in periodo elettorale. Il Consiglio di Stato ha chiarito che le consultazioni elettorali non giustificano automaticamente il blocco di nomine, concorsi o assegnazioni di incarichi. Le norme che regolano questi periodi sono eccezionali e vanno applicate in modo restrittivo, solo nei casi previsti dalla legge.
Tradotto: le amministrazioni locali possono procedere con concorsi e incarichi anche in prossimità delle elezioni, a meno che non vi sia un divieto esplicito.
Il Consiglio di Stato ha messo nero su bianco cosa deve fare un candidato per contestare l’esito di un concorso:
Non è più sufficiente dire “sono stato escluso ingiustamente”. Serve dimostrare con precisione dove la commissione ha sbagliato. Il giudice non può riscrivere la graduatoria, può solo intervenire in caso di gravi irregolarità.
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