Una tinta sbagliata, un taglio non concordato, capelli bruciati o spezzati: quando l’intervento del parrucchiere si traduce in un danno estetico, il cliente ha il diritto di non pagare la prestazione e, in alcuni casi, di ottenere un risarcimento. A stabilirlo è la giurisprudenza, che riconosce l’obbligo per i professionisti del settore di operare secondo diligenza e standard tecnici appropriati.
Il rapporto tra parrucchiere e cliente è regolato dal contratto d’opera (art. 2222 del Codice civile), che impone al professionista di eseguire la prestazione secondo le indicazioni ricevute e con la diligenza richiesta dalla sua attività (art. 1176, comma 2, c.c.).
L’adempimento dell’obbligo non riguarda solo il rispetto delle richieste esplicite, ma anche la corretta applicazione delle tecniche professionali, l’utilizzo di prodotti idonei e l’evitare danni alla salute dei capelli o del cuoio capelluto.
Se il parrucchiere esegue un lavoro che si discosta in modo evidente da quanto concordato, o danneggia il cliente, è possibile opporre l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.). Questo significa che:
Esempi ricorrenti includono:
Per ottenere tutela, è necessario fornire prove concrete dell’inadempimento:
In casi particolarmente gravi, è utile documentare anche l’impatto psicologico, mediante relazione specialistica.
La giurisprudenza distingue nettamente tra:
Solo nel primo caso è possibile chiedere la restituzione della somma pagata o un risarcimento danni. La Cassazione (sent. n. 27958/2020) ha stabilito che il diritto a non pagare scatta solo quando il risultato si discosta in modo apprezzabile dalle pattuizioni. Viceversa, se il parrucchiere ha agito secondo tecnica e indicazioni, non è responsabile del disappunto del cliente.
In presenza di un intervento sbagliato o lesivo, il cliente ha diritto alla sospensione del pagamento e, se dimostra il danno, anche al risarcimento. La tutela è riconosciuta solo in caso di inadempimento oggettivo, non per insoddisfazione personale.