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Insulti online: come difendersi legalmente e raccogliere le prove in modo corretto

Con l’aumento dell’uso dei social network e delle piattaforme digitali, i fenomeni di insulti, offese e attacchi verbali online sono diventati sempre più frequenti. Espressioni denigratorie, diffamazioni e cyberbullismo possono avere conseguenze gravi sulla vita privata e professionale delle vittime. Ma quali strumenti giuridici offre l’ordinamento italiano per difendersi? E come si possono raccogliere le prove in modo valido?

Diffamazione online: cosa prevede la legge

Il reato di riferimento è quello disciplinato dall’articolo 595 del Codice Penale, che riguarda la diffamazione. Si configura quando un individuo offende la reputazione altrui comunicando con più persone. Se l’offesa viene diffusa attraverso mezzi di pubblicità, come internet o i social media, si parla di diffamazione aggravata, punita con fino a tre anni di reclusione o con una multa elevata.

Anche i gruppi chiusi, se numerosi, sono considerati “luoghi pubblici” dalla giurisprudenza. Pertanto, commenti offensivi su WhatsApp, Facebook, X o altre piattaforme possono costituire diffamazione, purché siano visibili da più utenti.

Ingiuria e diffamazione: le differenze

Dal 2016, l’ingiuria non è più reato penale ma illecito civile. Si verifica quando l’offesa è diretta alla persona presente o in privato, e comporta un risarcimento danni ma non una sanzione penale. La diffamazione, invece, presuppone l’assenza del destinatario e la presenza di terzi, elemento che la rende penalmente rilevante.

Come raccogliere le prove degli insulti online

Per agire legalmente è fondamentale documentare con precisione le offese subite. Gli strumenti più efficaci includono:

  • Screenshot completi di data, ora e autore del commento;
  • Link diretti ai contenuti, se ancora accessibili;
  • Registrazioni video dello schermo, utili nel caso di contenuti eliminabili;
  • Raccolta dell’indirizzo IP tramite esperti informatici, nei casi in cui il profilo sia anonimo o cancellato.

Anche se l’utente responsabile ha eliminato il profilo o il post, è possibile risalire all’identità digitale grazie a strumenti forensi e ai dati raccolti dalle piattaforme.

Come reagire: le opzioni giuridiche

Le vittime di insulti o diffamazione online hanno a disposizione diverse azioni legali:

  • Querela per diffamazione: va presentata entro 3 mesi dal fatto, presso Polizia, Carabinieri o Procura. Deve essere corredata da prove dettagliate.
  • Azione civile per risarcimento danni: anche senza querela penale, è possibile agire in sede civile per ottenere un indennizzo economico per danni morali, d’immagine o patrimoniali.
  • Richiesta di rimozione contenuti: piattaforme come Meta, TikTok, YouTube e X consentono di segnalare i contenuti lesivi e, in alcuni casi, inviare una diffida legale per chiederne l’eliminazione.
  • Ricorso al giudice: nei casi più gravi, è possibile ottenere un provvedimento d’urgenza per ordinare la rimozione immediata dei contenuti offensivi.

Libertà di espressione e tutela della dignità

La libertà di parola, garantita dall’articolo 21 della Costituzione, non giustifica comportamenti offensivi o lesivi della reputazione altrui. Quando un’espressione travalica i limiti del rispetto e colpisce la dignità di una persona, non è più libera opinione, ma reato.

Difendersi dagli insulti online è un diritto. La normativa italiana offre strumenti efficaci per proteggere la reputazione e la serenità individuale, anche nel contesto digitale.

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