Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 19556/2025) introduce un cambiamento rilevante nel diritto del lavoro italiano: in caso di riorganizzazione aziendale e soppressione della posizione, il datore non è più tenuto a proporre solo mansioni equivalenti, ma anche ruoli di livello inferiore purché appartenenti alla stessa categoria legale. Se il lavoratore rifiuta, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo diventa legittimo.
Tradizionalmente, il principio del repêchage obbligava l’azienda a verificare la disponibilità di incarichi equivalenti prima di procedere al licenziamento. Con la nuova interpretazione, il datore di lavoro deve offrire anche mansioni inferiori. Il dipendente si trova quindi davanti a due opzioni:
Il trasferimento a mansioni inferiori non può essere arbitrario. La Cassazione ha precisato che deve rimanere entro la stessa categoria legale prevista dal contratto collettivo (dirigenti, quadri, impiegati, operai). Un impiegato, ad esempio, potrà essere assegnato a incarichi impiegatizi di livello più basso, ma non a mansioni manuali proprie di un operaio. Questo vincolo serve a evitare usi distorti del demansionamento come strumento di pressione.
Il datore di lavoro deve dimostrare in giudizio:
Una mancata offerta documentata può invalidare la procedura e portare al reintegro del lavoratore, come confermato anche da precedenti decisioni (Cass. ord. n. 18904/2024).
Questa evoluzione giurisprudenziale tutela le aziende, che possono ridurre il rischio di contenziosi, ma introduce anche un quadro più rigido in termini di gestione del personale. Per i lavoratori, diventa essenziale valutare con attenzione se accettare o meno un incarico inferiore, bilanciando la salvaguardia del posto con la tutela della propria professionalità.