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Malattia e social network: postare contenuti incompatibili con lo stato di salute può legittimare il licenziamento

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L’utilizzo dei social durante l’assenza per malattia può mettere a rischio il posto di lavoro. A confermarlo è la recente sentenza n. 4047/2025 della Corte d’Appello di Roma, che ha giudicato legittimo il licenziamento di un lavoratore in malattia sorpreso a pubblicare regolarmente video in palestra, nonostante fosse ufficialmente infortunato.

Il comportamento, ritenuto incompatibile con la diagnosi medica, ha determinato una rottura del rapporto fiduciario con il datore di lavoro, elemento centrale nel contratto di lavoro secondo l’articolo 2119 del Codice Civile.

Obbligo di correttezza anche durante la malattia

La giurisprudenza italiana ribadisce da anni che il lavoratore, anche durante un periodo di assenza per motivi di salute, è tenuto a rispettare i principi di correttezza e buona fede (articoli 1175 e 1375 c.c.). Questo significa non solo rispettare le fasce di reperibilità, ma anche evitare comportamenti che possano compromettere la guarigione o contraddire lo stato clinico dichiarato.

Se poi tali comportamenti vengono resi pubblici tramite i social, il problema si aggrava: la pubblicazione può danneggiare anche l’immagine dell’azienda, rendendo legittimo un provvedimento disciplinare o addirittura il licenziamento.

Assenze non giustificate e uso dei social: altri casi esaminati dai tribunali

La questione non riguarda solo i casi di malattia. Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 658/2025, ha convalidato il licenziamento di un lavoratore che aveva richiesto un permesso studio, salvo poi postare immagini da una località turistica.

Simile l’episodio trattato nella sentenza n. 1053/2024 del Tribunale di Benevento, dove un dipendente in malattia è stato licenziato dopo aver pubblicato un video mentre si esibiva dal vivo con la sua band.

In entrambe le circostanze, i giudici hanno confermato che la diffusione pubblica di comportamenti non coerenti con i motivi dell’assenza costituisce un valido presupposto per l’interruzione del rapporto lavorativo per giusta causa.

Social nel tempo libero: attenzione ai contenuti pubblicati

Anche fuori dall’orario di lavoro, l’attività sui social può avere ripercussioni sul piano professionale. Lo evidenzia la sentenza n. 6854/2023 del Tribunale di Roma, che ha ritenuto legittimo il licenziamento di una commessa che aveva pubblicato su TikTok un video ironico, ma lesivo dell’immagine aziendale.

Insulti, critiche ingiustificate o contenuti offensivi pubblicati sui propri profili, anche da casa, possono costituire motivo di licenziamento, specie se l’azienda è facilmente identificabile. Il vincolo di lealtà nei confronti del datore di lavoro non si esaurisce al termine dell’orario lavorativo, e i social, pur essendo strumenti personali, sono considerati spazi pubblici: ciò che si pubblica può essere utilizzato come prova in giudizio.

Quando l’attività social non costituisce violazione: il caso spagnolo

Non tutte le condotte online sono passibili di sanzione. Il Tribunal Superior de Justicia de Castilla y León, con la sentenza n. 260/2025, ha giudicato illegittimo il licenziamento di una influencer in malattia per disturbi d’ansia che continuava a pubblicare contenuti legati alla promozione di prodotti cosmetici.

Secondo la Corte spagnola, l’attività social in quel caso non comprometteva né la salute della lavoratrice né il rapporto di fiducia con il datore. La decisione mette in evidenza l’importanza del contesto e della proporzionalità: non ogni pubblicazione è motivo di licenziamento, ma va valutata in base alla compatibilità con la condizione clinica e all’eventuale danno arrecato all’azienda.

Giacomo Cascio
Giacomo Cascio
CEO Blue Owl s.r.l. agency - Editore Risoluto.it

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