Un lavoratore del pubblico impiego ha diritto a un risarcimento se viene costantemente adibito a mansioni inferiori rispetto al proprio profilo professionale. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, che con l’ordinanza n. 12128 dell’8 maggio 2025 ha confermato il riconoscimento di un risarcimento del 6% della retribuzione a un’infermiera assegnata stabilmente a compiti propri degli operatori sociosanitari (OSS).
La decisione è stata presa in base a tre elementi fondamentali:
Secondo la Corte, l’assegnazione occasionale a mansioni diverse non è automaticamente illegittima. La flessibilità è parte integrante del dovere del dipendente pubblico e può essere giustificata in situazioni straordinarie. Lo chiarisce anche l’articolo 49 del Codice Deontologico degli Infermieri, che prevede la possibilità di sopperire a carenze e disservizi nell’interesse primario degli assistiti.
Tuttavia, la legittimità è subordinata a condizioni ben precise:
Nel caso esaminato, la Corte ha accertato che l’infermiera era stata sistematicamente impiegata per attività non compatibili con il proprio inquadramento, senza valide ragioni organizzative. Questa situazione ha prodotto una lesione della dignità professionale, tale da giustificare un risarcimento equitativo.
La pronuncia richiama anche l’articolo 52 del Decreto Legislativo n. 165/2001, che sancisce la corrispondenza tra mansioni e inquadramento nei rapporti di lavoro pubblici. L’assegnazione sistematica a mansioni inferiori rappresenta dunque una violazione di legge, oltre che un danno per la persona e la sua immagine lavorativa.