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Pensioni 2025, rischio contributi silenti: ecco quando non maturi il diritto alla pensione e cosa puoi fare

Nel sistema previdenziale italiano, non è sufficiente raggiungere l’età anagrafica per andare in pensione: è necessario anche aver maturato un numero minimo di anni contributivi. In caso contrario, si rischia di non percepire alcuna prestazione e di vedere i contributi versati trasformarsi in contributi silenti, ovvero inutilizzati e non rimborsabili.

Il problema dei contributi insufficienti

Sempre più persone iniziano a lavorare o a versare contributi in età avanzata, magari dopo i 50 anni, in seguito all’apertura di una partita IVA o al rientro nel mondo del lavoro dopo una lunga pausa. Tuttavia, se il periodo contributivo non raggiunge la soglia minima richiesta per il diritto a una pensione, quei contributi non produrranno alcuna rendita.

Un esempio ricorrente è quello di chi, pur lavorando continuativamente per oltre 10 anni, si ferma a 15 anni di versamenti: questa durata non garantisce automaticamente la pensione se non si rispettano anche altri requisiti normativi specifici.

Cosa sono i contributi silenti

Con il termine contributi silenti si indicano quei versamenti previdenziali che non danno luogo a una prestazione pensionistica. Questo può accadere in diverse circostanze:

  • se non si raggiunge il numero minimo di anni contributivi richiesti per legge;
  • se il lavoratore muore prima della pensione senza lasciare aventi diritto alla reversibilità;
  • se si versano contributi in casse diverse senza attivare strumenti come cumulo o totalizzazione;
  • se la carriera lavorativa si interrompe precocemente e non si riprende.

In tutti questi casi, l’importo versato resta all’INPS e non viene restituito né convertito in pensione.

Attenzione alla data del 1° gennaio 1996

Un aspetto poco noto ma cruciale riguarda la differenza tra chi ha iniziato a versare contributi prima o dopo il 1° gennaio 1996. La pensione contributiva di vecchiaia a 71 anni richiede almeno cinque anni di contributi versati interamente dopo quella data. Chi ha periodi anteriori al 1996 potrebbe non accedere a questa opzione, rimanendo escluso da qualunque forma di pensionamento.

L’assegno sociale non è una soluzione alternativa

Un errore frequente è pensare che l’assegno sociale possa sostituire la pensione. In realtà, si tratta di una misura assistenziale concessa solo in presenza di precisi requisiti reddituali personali e familiari. Inoltre, non è una prestazione vitalizia garantita: viene rivalutata annualmente e può essere sospesa o revocata se cambiano le condizioni economiche del beneficiario.

Le possibili soluzioni

Per evitare di perdere i contributi versati e non maturare il diritto alla pensione, è importante valutare per tempo:

  • il riscatto dei periodi scoperti di contribuzione (come la laurea o periodi non lavorati);
  • il cumulo gratuito dei contributi in gestioni diverse;
  • la prosecuzione volontaria dei versamenti, utile per raggiungere la soglia minima richiesta.

Un’attenta pianificazione previdenziale può fare la differenza tra l’ottenere una pensione futura e perdere completamente quanto versato.

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