Una recente sentenza della Corte di Cassazione segna una svolta per chi si ritiene escluso dall’eredità. Con l’ordinanza n. 20954 del 23 luglio 2025, la Suprema Corte ha stabilito che, per avviare un’azione a tutela della quota di legittima, non è più necessario dimostrare in modo dettagliato e immediato l’esatto ammontare del danno. Basta fornire elementi verosimili che facciano apparire plausibile la lesione subita.
Si tratta di un cambio di rotta importante che rende più semplice per coniuge, figli e ascendenti far valere i propri diritti successori, senza dover affrontare la cosiddetta “prova impossibile”.
Quota di legittima e azione di riduzione: cosa cambia
Il Codice Civile, agli artt. 536 e seguenti, tutela gli eredi legittimari (coniuge, figli e, in alcuni casi, genitori) garantendo loro una quota minima del patrimonio che non può essere esclusa né con testamento né tramite donazioni in vita.
Quando questa quota viene ridotta o azzerata, la legge prevede la cosiddetta azione di riduzione (art. 553 c.c.), con cui si può chiedere al tribunale di reintegrare la propria parte.
Finora, però, molti ricorsi venivano respinti in partenza perché i giudici pretendevano prove complete e precise già all’atto di citazione, un requisito spesso impossibile da soddisfare per chi non conosceva nel dettaglio il patrimonio del defunto.
La sentenza della Cassazione: basta la “verosimiglianza” per iniziare la causa
Con la nuova pronuncia, la Cassazione chiarisce che esiste una distinzione tra il diritto di iniziare un processo e l’onere di vincerlo.
Per avviare l’azione, non serve presentare subito perizie o bilanci dettagliati. È sufficiente dimostrare, con elementi concreti, che la lesione della quota sia plausibile: ad esempio, indicando donazioni sproporzionate fatte a un solo erede rispetto ai beni rimasti nell’eredità.
Nel caso esaminato, due figli esclusi avevano elencato immobili e quote societarie donate al fratello, a fronte di un’eredità quasi priva di beni. Questo squilibrio è stato ritenuto sufficiente per rendere credibile la richiesta e obbligare il giudice ad aprire la causa.
Accesso alla giustizia garantito e due fasi distinte
La Cassazione sottolinea che la fase iniziale serve a verificare la verosimiglianza della domanda, non a chiudere la causa prima di iniziarla. Solo nella seconda fase, quella di merito, l’erede dovrà provare con precisione:
- la composizione completa del patrimonio del defunto (beni rimasti e donazioni fatte in vita);
- il valore esatto della propria quota di legittima;
- l’eccedenza ricevuta dagli altri eredi che ha determinato la lesione.
Questa distinzione consente agli eredi di accedere al tribunale anche con informazioni inizialmente incomplete, garantendo l’art. 24 della Costituzione sul diritto alla tutela giurisdizionale.
Un principio che tutela chi non ha accesso ai documenti
La decisione ha un forte valore sociale: spesso gli eredi esclusi non hanno mai gestito conti, atti notarili o contratti del defunto. Pretendere da loro una prova millimetrica già nella citazione era, secondo la Cassazione, ingiusto e contrario allo spirito della legge.
Ora sarà il processo stesso a ricostruire il patrimonio, attraverso documenti, testimonianze e consulenze tecniche d’ufficio (CTU). L’obiettivo è un equilibrio tra accesso alla giustizia e rigore probatorio nella fase decisoria.