Con l’obiettivo di contrastare abusivismo edilizio ed evasione fiscale, a partire dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore una profonda riforma del catasto italiano. L’iniziativa si inserisce nel quadro della transizione digitale promossa dal PNRR e introduce importanti cambiamenti nella rilevazione, classificazione e aggiornamento degli immobili.
Il nuovo sistema si baserà su una piattaforma intelligente che integra sistemi informativi geografici (GIS), big data e strumenti di intelligenza artificiale. Queste tecnologie saranno a disposizione dell’Agenzia delle Entrate e dei Comuni, che potranno:
La condivisione telematica delle informazioni tra amministrazioni permetterà una maggiore trasparenza e un migliore controllo del patrimonio immobiliare.
Uno dei cambiamenti principali riguarda la rendita catastale, che sarà affiancata da una rendita attualizzata, calcolata in base a criteri più moderni e vicini al valore di mercato. I nuovi parametri includeranno:
Le rendite verranno aggiornate periodicamente in base alle oscillazioni del mercato, ma non potranno mai superare il valore commerciale reale. Per gli immobili di interesse storico o artistico, saranno previste riduzioni specifiche per tenere conto degli oneri di manutenzione e dei vincoli normativi.
Una delle clausole fondamentali della riforma prevede che le nuove informazioni raccolte non influenzeranno la base imponibile dei tributi locali e nazionali. In altre parole, la nuova rendita attualizzata servirà solo per fini conoscitivi e statistici, senza impatto immediato su IMU, imposta di registro o IRPEF sui fabbricati.
La riforma introduce un rafforzamento degli obblighi in capo ai proprietari di immobili, i quali dovranno comunicare tempestivamente:
Le variazioni vanno trasmesse tramite il modello DOCFA, che garantisce l’allineamento tra la realtà fisica dell’immobile e i dati catastali ufficiali.
Il mancato aggiornamento catastale può comportare sanzioni pecuniarie significative, che variano in base a:
In particolare, la multa va da un minimo di 1.032 euro a un massimo di 8.264 euro, nei casi in cui l’omessa variazione comporti una riduzione indebita delle imposte dovute.