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La DOP delle arance al collasso, Cgil: “Due anni di crisi idrica e nessuna soluzione”

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Il comparto agrumicolo di Ribera, cuore pulsante della produzione di arance DOP, sta affrontando per il secondo anno consecutivo una crisi idrica senza precedenti. La mancanza di acqua, unita a infrastrutture obsolete e scarsa programmazione, sta mettendo in ginocchio agricoltori, aziende e lavoratori dell’intera filiera.

In queste ore sta circolando un video, inviato da un produttore locale, che mostra piante assetate, frutti compromessi e terreni spaccati dalla siccità. Un’immagine che, secondo la Flai CGIL di Agrigento, rappresenta “il simbolo di un disastro annunciato, frutto di scelte mancate e responsabilità diffuse”.

Le cause affondano le radici in anni di mancati interventi: condotte idriche vecchie e malridotte che disperdono acqua lungo il percorso, impianti obsoleti e strutture del Consorzio di Bonifica inadeguate. A ciò si aggiunge la diga Castello, che potrebbe contenere fino a 21 milioni di metri cubi d’acqua, ma che oggi ospita quantità ben inferiori al fabbisogno agricolo.

Un altro nodo critico è la dipendenza dalla volontà dell’ENEL per la concessione dell’acqua. “Il settore primario non può essere ostaggio di logiche estranee alla programmazione agricola – denuncia Francesco Colletti, segretario della Flai CGIL Agrigento –. L’acqua è un bene essenziale e deve essere gestita in funzione delle esigenze del territorio e della produzione”.

Le ordinanze che stabiliscono i quantitativi di acqua da erogare, inoltre, non vengono rispettate, costringendo gli agricoltori a scendere in piazza per reclamare ciò che dovrebbe essere loro garantito.

La Flai CGIL chiede interventi immediati e strutturali: messa in sicurezza e ammodernamento della rete idrica, utilizzo pieno della capacità di invaso della diga Castello, programmazione anticipata delle forniture nei periodi critici e una gestione dell’acqua libera da interessi esterni alle esigenze agricole.

“Se non si interverrà subito – avverte Colletti – questa crisi segnerà la fine di un intero comparto produttivo e di un pezzo fondamentale dell’economia siciliana. Le conseguenze sarebbero devastanti: perdita di aziende, drastico calo dell’occupazione agricola e collasso dell’indotto. Il tempo delle parole è finito. Ora servono fatti”.

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